Immigrazione, don Colmegna: ascoltare la società civile

Il discorso del presidente della Casa della carità don Virginio Colmegna, in occasione del primo forum di Casa Comune, del 29 novembre 2019 a Milano. Si è parlato anche di immigrazione, con un forte richiamo alla politica sulle proposte di Ero Straniero.

Siamo nel mezzo di una crisi globale, che per la prima volta ci fa avvertire quanto giustizia sociale e giustizia ambientale siano strettamente interconnesse. 

In un contesto oserei dire di devastazione culturale, nel quale si moltiplicano chiusure, paure, rifiuto dell’altro, abbiamo bisogno che dal basso, dalle coscienze, cresca e si mobiliti una visione di società più umana, che parli un nuovo linguaggio che non può essere solo rivendicativo, ma che deve caratterizzarsi come mite, propositivo e solidale; un linguaggio che respira e vive sul mettere al primo posto la dignità di ogni persona. 

Questo chiedono i giovani – e non solo – che riempiono le piazze per affermare il bisogno di una politica nuova, di nuovi valori etici che poggino su una visione comunitaria della società. I giovani esigono da noi un cambiamento, lo ricorda spesso anche Papa Francesco, e domandano a gran voce come sia possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi. Sono stanchi di una logica escludente che avvantaggia i pochi, di un sistema che si fonda sull’idolatria del mercato quale unico motore propulsore dello sviluppo, di un’economia che è solo speculazione finanziaria e non si cura delle disuguaglianze che provoca, di una società che si arrocca nell’individualismo e produce quelli che sempre Papa Francesco chiama “scarti umani”. Sono per esempio inaccettabili il divario sempre più grande tra gli stipendi dei manager e degli altri lavoratori o un mercato del lavoro sempre più precario e per molti anche senza tutele; francamente è insopportabile quanto si stiano diffondendo stili di vita che sono ostentazione di ricchezze e disvalori.

È tempo di rovesciare le priorità e di portare in primo piano la voce, il grido dei più fragili. La loro sofferenza ci interpella, non perché essi compaiano ai nostri occhi come “i poveretti” a cui allungare la monetina che ci sgrava la coscienza – ci diceva il cardinal Martini – ma perché essi mettono a nudo le contraddizioni della nostra società, anche in una città all’avanguardia come Milano. Lo sappiamo bene in Casa della carità, dove dalle storie di queste persone partiamo per mettere in campo azioni sociali e culturali che, ci auguriamo, possano essere motori di piccoli, ma importanti cambiamenti. 

Partire dagli scarti umani non è assistenzialismo, non è “buonismo”. Dobbiamo riconoscere che il tema centrale è quello delle disuguaglianze e va affrontato a partire dal riconoscimento dei diritti e dalla promozione di una vera giustizia sociale. Ce l’ha insegnato anche 40 anni fa Franco Basaglia: la sua non fu una rivoluzione solo in campo sanitario, ma una spinta al cambiamento che partiva da una visione globale di società. La sua lezione oggi è più che mai attuale e trasversale: ci dice che le fragilità non vanno rinchiuse in “contenitori” separati e abbandonati, ma devono essere risorsa per l’intera comunità. Questa è la vera solidarietà, quella che produce diritti di cittadinanza, coesione e giustizia sociale. Questa è la strada per un vero cambiamento. 

Per percorrere questa strada abbiamo bisogno che la politica sia coraggiosa e avverta ancora il senso del possibile, che non sia un gioco di mediazione al ribasso. È suo compito, quindi, non lasciare che questi movimenti spontanei e plurali, carichi di una energia che guarda al futuro, si chiudano nell’autoreferenzialità. Con loro la politica deve essere capace di aprire un dialogo nuovo in una logica trasformativa e innovativa.

E allora che fare oggi? Innanzitutto, è bene che la politica, quella progressista e riformatrice, come quella che si ritrova qui oggi, colga alcune importanti proposte avanzate dalla società civile, che chiede di agire su fenomeni complessi ed epocali: dal cambiamento climatico alle migrazioni. È sfumata a suo tempo la possibilità di riconoscere il diritto di cittadinanza ai figli di stranieri nati o cresciuti in Italia. Non permettiamo, per favore, che oggi si perda un’altra grande occasione, magari perché i sondaggi sembrano andare in un’altra direzione. Mi riferisco alla legge di iniziativa popolare Ero straniero, per una nuova normativa sull’immigrazione, che unisce legalità, sicurezza e umanità e superi la Bossi-Fini. Anche a causa degli ultimi decreti, divenuti legge, in materia di immigrazione il numero degli stranieri irregolari lieviterà entro il 2020 a oltre 670.000. Regolarizzando quei cittadini stranieri che già vivono e sono parte del nostro tessuto sociale, ma non hanno o hanno perso un titolo di soggiorno, si permetterebbe a tante persone di uscire dall’ombra e riacquistare dignità e diritti. 

Ero straniero è stato un grande impegno. Perché arrivasse in Parlamento, migliaia di cittadini si sono mobilitati e hanno raccolto oltre 90.000 firme. Questa proposta merita di essere conosciuta, discussa e soprattutto sostenuta con convinzione. È un appello che faccio a tutti voi presenti in sala.

Mi avete chiesto di parlare di cambiamenti. Prima di pensare di “cambiare tutto”, penso sia bene procedere per piccoli passi. Il percorso che ci aspetta non sarà facile, non sarà breve ma proprio per questo è bene iniziare insieme e quanto prima!

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